giovedì 9 agosto 2007

Mercoledì 8 agosto – Pioggia a Kinshasa

Nerd a Kingasani
Martedì mattina atterriamo a Ndjili con un'ora d'anticipo, oppure con ventitré ore di ritardo, a seconda dei punti di vista. Avvertiamo alla svelta Marco con un sms, quando siamo ancora in aereo, per non rischiare di ritrovarci coi bagagli ritirati a dover passare la dogana prima che lui sia arrivato.
Affrontiamo il controllo passaporti con tutta la cirscospezione del caso (credo d'aver fatto una testa così a Samuele e Daniele, dopo i travagli capitati in passato) ma stavolta fortunatamente va tutto liscio. Superiamo tre controlli di passaporto senza che praticamente neanche ci guardino la lettera di invito, ed anche il controllo della vaccinazione contro la febbre gialla è solo una formalità. Ci avevano detto che il governo sta cercando di mettere “ordine” a Ndjili, e qualche cambiamento in effetti si nota, non solo per i cartelli ripitturati.
Superati i controlli siamo all'area bagagli, Marco è già lì che ci aspetta. Anche qua si nota un po' più di ordine: non c'è più la ressa di due anni fa, e in mezzo ai nastri c'è solo gente in uniforme (non so se rallegrarmene in realtà). Rimaniamo più di un'ora a vedere valigie, buste e scatoloni passare... ma dei nostri otto bagagli non c'è traccia. Quando si ferma il nastro e si chiudono i cancelli sono indeciso se deprimermi o prenderla a ridere, e poi propendo per la seconda opzione. Le suore delle Mauritius che erano ad Addis Abeba con noi sono pure loro senza bagaglio, ed anche questo non so se è un segno tranquillizzante o ancora più allarmante. È forte il sospetto che forse all'Ethiopian ci sia stato un piccolo disguido ieri col volo che abbiamo perso... Chiedendo in giro ed indagando un po' finiamo dentro la famigerata stanza dell'OFIDA, la dogana dell'aeroporto. Lì riconosco subito un mucchietto di valigie familiari, arrivate comodamente il giorno prima (caro ragazzo della biglietteria Ethiopian di Fiumicino, se leggi queste righe sappi che avevi ragione, un'ora di cambio è più che sufficiente, non solo in teoria, per trasferire i bagagli, anche quando il volo di provenienza arriva in ritardo).
Ne recuperiamo sei su otto, senza dover sganciare mance a nessuno. Mancano solo la borsa con la stampante, e la valigia con tutti i miei vestiti. Chiedendo di nuovo in giro finiamo su un signore dell'Ethiopian, che stava cercando “Monsieur Arcangeli”. Mi ha gentilmente messo da parte quei due bagagli perché c'erano alcune tasche che non erano chiuse a lucchetto. Usciamo dall'aeroporto con i sei bagagli, senza che ce li aprano per i controlli doganali (previa poche mance), e li portiamo in macchina. Poi io e Marco andiamo al secondo piano dell'area partenze, all'ufficio Ethiopian, a recuperare i miei due mancanti. Sarà destino che ogni volta che arrivo a Ndjili quelle scale devo farmele, per un motivo o per un altro! Riprendo i miei bagagli in condizioni impeccabili, e Marco lascia una piccola mancia al signore Ethiopian, senza che lui l'abbia chiesta.
Insomma, nel giro di un paio d'ore siamo fuori dall'aeroporto, avendo sborsato un totale di pochi spiccioli, con tutti e otto i nostri bagagli (nonostante tutte le variabili avverse, come le masse di bagagli persi a Fiumicino in questi giorni, la coincidenza persa ad Addis Abeba, e la dogana congolese).
Il primo incontro con poliziotti e funzionari congolesi mi lascia a pelle la sensazione che qualcosa sia cambiato per davvero. Ma è solo una sensazione, è anche possibile che non sia cambiato nulla ed abbia semplicemente avuto sfiga due anni fa (tant'è che un paio di poliziotti provano subito a romperci le scatole per una foto scattata da Daniele quando eravamo già fuori dall'aeroporto). O forse questa volta è stato tutto un po' più semplice perché eravamo più preparati. O forse, spiegazione più razionale, le croci c'hanno aiutato davvero.
Usciamo dall'aeroporto e prendiamo Boulevard Lumumba, in direzione della città, quello che chiunque sia passato di qua non si scorderà più. Lo stesso stradone, la stessa umanità varia che lo popola, la stessa sabbia sporca. Ben prima di arrivare alla rotonda col monumento di Lumumba si gira a sinistra per Kingasani, il quartiere dov'è situata la missione che ci ospita. È il quartiere dove due anni fa eravamo stati a consegnare alcuni scatoloni di medicinali all'ospedale delle Poverelle di Bergamo. Un quartiere di quelli non facili da spiegare a parole: una distesa di catapecchie, inframezzate da strette stradine di sabbia e rifiuti, piene di gente. Persone dovunque, soprattutto bambini, e qua e là anche qualche cane o qualche gallina. L'acqua è pochissima, la gente va a prenderla a piedi con bidoni e carretti “pousse-pousse” percorrendo a piedi qualche chilometro. La fornitura elettrica c'è, ma Marco ci dice che attualmente è staccata, già da qualche giorno.
Quando entriamo nella parte di quartiere coperta dalla parrocchia della missione tutti i bambini iniziano a urlarci “Santino! Santino!” (Santino è il missionario che ha creato dal nulla la parrocchia). Questo coro ci accompagna fino all'ingresso della missione, una vera e propria oasi in muratura, dove abbiamo letti, servizi igienici, cibo, una connessione Internet con ponte radio verso il provider in città, e un gruppo elettrogeno che si può accendere per qualche ora la sera (il tempo di pompare l'acqua dai bidoni nella cisterna).
Nel bel mezzo della notte mi sveglio per il rumore del vento, fortissimo, a cui segue a breve uno scroscio di pioggia che dura qualche ora. Questa è davvero l'ultima cosa che m'aspettavo nel bel mezzo della stagione secca! La pioggia a Kinshasa, e le strade di sabbia bagnata non le avevo mai viste. Se anche questo è effetto delle croci comincio ad essere un po' impressionato.
La mattina dopo Padre Santino mi tranquillizza: nei quattro mesi di stagione secca una “piccola” pioggia è prevista, e per caso s'è combinata proprio la sera che siamo arrivati. Non pioverà più fino ad almeno metà settembre. Forse.

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